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reclamo a youtube per violazione etica ALTRO CHE COPYRIGHT

May 21st, 2012 — 8:52pm

copyright

La rivista in pensiero sta subendo un abuso che andrebbe definito grave, anche se dell’abuso molti, ormai assuefatti, neppure si accorgerebbero: in nome del copyright è costretta da YouTube a esporre coattamente una pubblicità sul video del proprio booktrailer, nel quale si ascoltano pochi secondi di una canzone, per cui ovviamente possiede l’autorizzazione autografa degli autori.

Veniamo ai fatti: in pensiero ha ricevuto, appena postato booktrailer del 6° numero, un reclamo per violazione del copyright inoltrato dalla stessa YouTube per conto di una società statunitense che dichiara possedere i diritti di una canzone di cui nel booktrailer si ascoltano una trentina di secondi. Si tratta di una canzone inedita fino a qualche settimana fa, pubblicata in anteprima in in pensiero n. 6, e a breve in uscita all’interno dell’album di esordio del gruppo che l’ha composta.

Vale la pena sottolineare subito che in pensiero, oltre alla partecipe benedizione, ha ricevuto la liberatoria e l’autorizzazione (con tanto di firma autografa dei 4 autori…) a pubblicare la canzone in questione sul DVD allegato al n. 6, autorizzazione su cui, anche questo vale la pena sottolinearlo, non ha avuto niente a ridere neppure la Siae, che ha regolarmente fornito l’irrinunciabile bollino argentato.

Certo, YouTube è un’azienda privata e decide di fare ciò che vuole dei servizi che offre, e certo i video di in pensiero ricevono un numero tanto esiguo di visite rispetto agli hit di YouTube che ogni nostro discorso rischia di restare privo di significato.

Eppure il problema non è tanto il torto subito da in pensiero, piuttosto l’uso distorto e, almeno eticamente, illegittimo del copyright. Il problema non è tanto la libertà di offrire un servizio, piuttosto l’abuso di posizione, almeno eticamente, illegale di chi offre un servizio di comunicazione pubblica in uno stato di monopolio effettivo, come effettivamente accade per YouTube, o per google, se si vuole dare alle cose il loro nome (a meno di non voler elogiare la quieta ma spietata praticità del monopolio, certo).

Il reclamo ricevuto via YouTube da in pensiero prevede che in automatico, come risarcimento del diritto violato, nel video compaia la pubblicità: come a dire, dato che usi roba d’altri, abbiamo il diritto di fare del tuo video fonte di guadagno, di convertirlo tuo malgrado a cavallo di troia del marketing: come un cavaliere errante, o come uno sceriffo del far west, YouTube ripristina la legalità, o meglio, la giustizia, nel proprio vasto e incontrollabile territorio. Il motto (o sillogismo) è: copyright, giustizia, pubblicità.

YouTube ovviamente permette di contestare il reclamo, cosa che immediatamente in pensiero ha fatto dando prova di possedere le autorizzazioni scritte degli autori della canzone in questione. Ma chi è il giudice a cui YouTube assegna il verdetto finale? La stessa società detentrice, o presunta, dei diritti, che in poche ore ha ovviamente rigettato la contestazione di in pensiero e ha confermato il reclamo per violazione del copyright e pubblicità annessa. Ultimato questo passaggio, YouTube non consente di fare più niente (se non adire a vie legali o assumere un pool di avvocati che risolvano il problema come in un film di Hollywood), e ci si deve tenere la pubblicità.

A questo punto sarebbe interessante chiedersi se è normale, e sano, che gli autori di una canzone, o di qualsiasi altra opera d’arte o d’ingegno, non solo non detengano, ma non sappiano niente di chi detiene, o dichiara di detenere, i diritti della loro opera, magari trovandosi a loro insaputa della pubblicità messa da altri su un proprio video o su una propria canzone (e amagari di fronte a tutto ciò pensare che è normale, che sono i tempi in cui viviamo, che la pubblicità fa parte della vita), solo perché hanno deciso di distribuire, anche solo on line, le loro opere. (Non sarà forse l’ultimo stadio di quella famosa alienazione, di cui oggi non si sente più parlare?)

Sarebbe magari interessante chiedersi quali sono le prospettive di un’intera civiltà, delle sue culture e intelligenze condivise, se al timone di comando rimane solamente chi distribuisce o chi commercializza (vantandone legittimamente diritti assoluti, come assolute e legittime erano le monarchie dell’ancienne régime) relegando a una funzione di merce non solo i contenuti che vengono prodotti, ma anche chi questi contenuti li crea, anche chi crea saperi, conoscenze, nuove intelligenze.

Sarebbe ancor più interessante chiedersi se il copyright, o il diritto d’autore, o, come viene chiamato adesso con inconsapevole ma ironico ossimoro, il diritto di proprietà intellettuale, non sia forse l’ultima frontiera di quel feroce e arrogante diritto d’appropriazione verso gli uomini e la natura di cui il nostro capitalismo contemporaneo sembra essere l’ultimo inarrestabile erede (soprattutto se invece di preoccuparsi della musica o dell’arte ci si preoccupa di cosa significa applicare il diritto di proprietà intellettuale non solo ai brevetti scientifici e tecnologici ma anche ai nuovi domini – sic! – delle scienze, ossia, le sementi, gli animali d’allevamento, le sequenze genetiche, bref, la vita come processo biologico).

Ma forse in uno spazio come questo sarà meglio limitarsi a sottolineare come un fatto così insignificante, costringere una piccola rivista di arti contemporanee a esporre della pubblicità su un proprio video, in realtà nasconde dinamiche che insignificanti non sono, ci parla di fenomeni, derive, spinte ideologiche, pulsioni di morte, che nessuna pubblicità racconterà mai, ma che al contrario i metodi scopertamente violenti e “legali” che vengono usati per fare entrare quella stessa pubblicità in ogni spazio di vita raccontano in modo trasparente.

Per questo abbiamo deciso di non cancellare da YouTube il nostro video (lasciando a YouTube la possibilità di continuare a ospitare il nostro account), ma di continuare a esibirlo come un piccolissimo boomerang.

La redazione di in pensiero

1 comment » | blog, pensieri

Vedere cose vedere persone

May 11th, 2012 — 2:12pm

Somone Giaiacopi | pittura

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I dipinti di Simone Giaiacopi mostrano immediatamente di ingaggiare una lotta serrata non tanto con l’immagine, simulacro che in questi ultimi decenni pareva essersi sostituito al mondo che lo aveva generato, ma con le cose e le persone che ritraggono: niente di più lontano di queste opere di intimo ed enigmatico realismo, infatti, dalla pittura fotografica che invade i padiglioni d’arte contemporanea. Anche la tecnica di pittura, olio su tavola, partecipa di questa ritrovata e quasi cinquecentesca introspezione realistica, contribuendo a isolare dal proprio contesto, a sospendere in una fissità rivelatrice e perturbante, le singole figure, che ora sono oggetti di lavoro, ora persone, animali, strumentazioni industriali, tutto rigorosamente equiparato sullo stesso accogliente orizzonte del ritratto. Ed è proprio questa capacità di dare importanza di realtà alle cose e alle persone che compaiono di fronte che ripropone l’ambizione massima della pittura, raccontare la realtà del mondo per quella che è, o che potrebbe essere: salvo rimandare la partita, nel caso resti il dubbio, come accade qui, se siamo noi a raccontare le cose e le persone, o se sono le cose e le persone, attraverso il nostro sguardo, a raccontare noi.

giaiacopi

Comment » | pittura

Il racconto sotto la pietra /estratti

May 3rd, 2012 — 1:43pm

a cura di Catalina Villa |  saggio/conversazione

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Ulises Juárez Polanco, Nicaragua | Uno dei più importanti poeti del Nicaragua e chissà dell’Ispanoamerica, Ernesto Cardenal, ha scritto recentemente un saggio in cui affronta il tema della solidarietà come elemento fondante del nostro DNA. Parla delle monocellule e di come una monocellula ne ha cercata un’altra per congiungersi e moltiplicarsi esponenzialmente: nella nostra costituzione monocellulare c’è già implicito il bisogno di cercare l’altro. Raccontare significa trasmettere conoscenze, esperienze, visioni, non importa che siano biografiche o meno, raccontare implica sempre questa trasmissione. Raccontiamo perché siamo esseri sociali, perché viviamo in società. Per quanto non lo vogliamo, per vivere dipendiamo dell’altro, e con l’altro abbiamo un bisogno implicito di mantenerci in contatto.
Narrare o raccontare implica sempre una rappresentazione della storia. Quale? In primo luogo la mia storia personale, la storia dello scrittore. Credo che questo esce sempre fuori, in modo naturale, a volte persino inconsciamente. E in second’ordine la storia che come scrittore mi sono proposto di raccontare o scrivere. Non necessariamente la realtà obiettiva del mio paese, città o continente; anche se  in principio è sempre la rappresentazione della mia realtà.

Andrés Burgos, Colombia | Narrare storie è il mio modo di rapportarmi con il mondo, ed è probabilmente il modo con cui mi avvicino a ciò che più mi produce piacere, che mi raccontino storie. Trovo un enorme piacere nel raccontare, che allo steso tempo è un’estensione di ciò che mi ha inizialmente portato a essere lettore: l’evasione.
Mi piace la fiction, la letteratura di finzione, perché mi offre ciò che non trovo nel mondo immediato, ciò che non trovo quando esco per la strada. Raccontare è accedere a un mondo a sé, personale, dove trovo protezione e piacere. Non scrivo per cambiare il mondo, e nemmeno per offrire quelle che io credo siano delle risposte chiare al mondo contemporaneo, delle uscite a delle problematiche. Scrivo per un impulso molto intuitivo, irrazionale. Per piacere, e tante altre volte per cercare di capire, senza spiegare ad altri, situazioni, momenti, personaggi che mi appaiono complessi.

Jacinta Escudos, El Salvador | Credo che la parola stessa, raccontare, significhi dire: dire ciò che accade sia fuori che dentro l’individuo che scrive. Narrare la realtà che si guarda, la realtà che si vede passare, la realtà reale – sebbene sembri una ridondanza –, la realtà immaginata, quella presunta, quella desiderata. È dire nel senso più ampio. Raccontiamo perché diversamente il nostro mondo sarebbe vuoto. Se noi non potessimo raccontare, avremmo solo una serie di dati ufficiali, dei dati a metà. Non avremmo alternative di realtà alle quali accedere; per non dire che il nostro mondo, incompleto, zoppicherebbe e sarebbe privo di colore. Quanto più accesso abbiamo ai diversi aspetti della realtà, sia interiore che esteriore, tanto più riusciamo ad arricchire la nostra visione del mondo. Grazie a chi racconta abbiamo la possibilità di accedere ad altri mondi, altre vite.

[...]

Ulises Juárez Polanco | L’atto di raccontare implica la presenza di due persone. Non ha nessun senso raccontare a se stesso, da solo, delle cose ad alta voce. Quando uno è da solo non c’è nessun bisogno di parlare, la cosa logica è pensare. Raccontare invece implica una trasmissione, la condivisione di un punto di vista, di un’idea, di un qualcosa con altri. Il ruolo sociale del raccontare è proprio quello della costituzione della comunità, e se l’uomo non parlasse sarebbe molto difficile la formazione di questo fenomeno che si conosce come società. Potrebbe anche esserci qualcosa di biologico, dato che persino gli animali hanno il loro linguaggio, la loro forma di trasmettere cose, come chi comanda, cosa si deve fare, come si sta. Ma raccontare, come solo l’uomo sa fare, ha consentito che si creasse la società. Se si mette in relazione il fatto di raccontare con quello di scrivere, mi viene in mente una cosa che ha detto Saramago, e cioè che il dovere dello scrittore, nel momento di raccontare, è quello di alzare una pietra e raccontare o trasmettere le cose che trova sotto. Cosa si farà poi con il risultato di ciò che si è trovato – il testo – non è più dovere dello scrittore, ma del cittadino che lo riceve – che può coincidere anche con la figura stessa dello scrittore, perché anche lo scrittore è cittadino. E tuttavia il ruolo principale dello scrittore è farci vedere ciò che si trova sotto la pietra.

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Comment » | conversazione, saggio

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