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Il racconto sotto la pietra /estratti

May 3rd, 2012 — 1:43pm

a cura di Catalina Villa |  saggio/conversazione

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Ulises Juárez Polanco, Nicaragua | Uno dei più importanti poeti del Nicaragua e chissà dell’Ispanoamerica, Ernesto Cardenal, ha scritto recentemente un saggio in cui affronta il tema della solidarietà come elemento fondante del nostro DNA. Parla delle monocellule e di come una monocellula ne ha cercata un’altra per congiungersi e moltiplicarsi esponenzialmente: nella nostra costituzione monocellulare c’è già implicito il bisogno di cercare l’altro. Raccontare significa trasmettere conoscenze, esperienze, visioni, non importa che siano biografiche o meno, raccontare implica sempre questa trasmissione. Raccontiamo perché siamo esseri sociali, perché viviamo in società. Per quanto non lo vogliamo, per vivere dipendiamo dell’altro, e con l’altro abbiamo un bisogno implicito di mantenerci in contatto.
Narrare o raccontare implica sempre una rappresentazione della storia. Quale? In primo luogo la mia storia personale, la storia dello scrittore. Credo che questo esce sempre fuori, in modo naturale, a volte persino inconsciamente. E in second’ordine la storia che come scrittore mi sono proposto di raccontare o scrivere. Non necessariamente la realtà obiettiva del mio paese, città o continente; anche se  in principio è sempre la rappresentazione della mia realtà.

Andrés Burgos, Colombia | Narrare storie è il mio modo di rapportarmi con il mondo, ed è probabilmente il modo con cui mi avvicino a ciò che più mi produce piacere, che mi raccontino storie. Trovo un enorme piacere nel raccontare, che allo steso tempo è un’estensione di ciò che mi ha inizialmente portato a essere lettore: l’evasione.
Mi piace la fiction, la letteratura di finzione, perché mi offre ciò che non trovo nel mondo immediato, ciò che non trovo quando esco per la strada. Raccontare è accedere a un mondo a sé, personale, dove trovo protezione e piacere. Non scrivo per cambiare il mondo, e nemmeno per offrire quelle che io credo siano delle risposte chiare al mondo contemporaneo, delle uscite a delle problematiche. Scrivo per un impulso molto intuitivo, irrazionale. Per piacere, e tante altre volte per cercare di capire, senza spiegare ad altri, situazioni, momenti, personaggi che mi appaiono complessi.

Jacinta Escudos, El Salvador | Credo che la parola stessa, raccontare, significhi dire: dire ciò che accade sia fuori che dentro l’individuo che scrive. Narrare la realtà che si guarda, la realtà che si vede passare, la realtà reale – sebbene sembri una ridondanza –, la realtà immaginata, quella presunta, quella desiderata. È dire nel senso più ampio. Raccontiamo perché diversamente il nostro mondo sarebbe vuoto. Se noi non potessimo raccontare, avremmo solo una serie di dati ufficiali, dei dati a metà. Non avremmo alternative di realtà alle quali accedere; per non dire che il nostro mondo, incompleto, zoppicherebbe e sarebbe privo di colore. Quanto più accesso abbiamo ai diversi aspetti della realtà, sia interiore che esteriore, tanto più riusciamo ad arricchire la nostra visione del mondo. Grazie a chi racconta abbiamo la possibilità di accedere ad altri mondi, altre vite.

[...]

Ulises Juárez Polanco | L’atto di raccontare implica la presenza di due persone. Non ha nessun senso raccontare a se stesso, da solo, delle cose ad alta voce. Quando uno è da solo non c’è nessun bisogno di parlare, la cosa logica è pensare. Raccontare invece implica una trasmissione, la condivisione di un punto di vista, di un’idea, di un qualcosa con altri. Il ruolo sociale del raccontare è proprio quello della costituzione della comunità, e se l’uomo non parlasse sarebbe molto difficile la formazione di questo fenomeno che si conosce come società. Potrebbe anche esserci qualcosa di biologico, dato che persino gli animali hanno il loro linguaggio, la loro forma di trasmettere cose, come chi comanda, cosa si deve fare, come si sta. Ma raccontare, come solo l’uomo sa fare, ha consentito che si creasse la società. Se si mette in relazione il fatto di raccontare con quello di scrivere, mi viene in mente una cosa che ha detto Saramago, e cioè che il dovere dello scrittore, nel momento di raccontare, è quello di alzare una pietra e raccontare o trasmettere le cose che trova sotto. Cosa si farà poi con il risultato di ciò che si è trovato – il testo – non è più dovere dello scrittore, ma del cittadino che lo riceve – che può coincidere anche con la figura stessa dello scrittore, perché anche lo scrittore è cittadino. E tuttavia il ruolo principale dello scrittore è farci vedere ciò che si trova sotto la pietra.

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